Il contratto tipico di rendita vitalizia e il contratto innominato di mantenimento a confronto
Il contratto tipico di rendita vitalizia appartiene alla più ampia categoria giuridica dei contratti aleatori, connotati da un elemento di incertezza circa l’esistenza e/o l’entità delle prestazioni dedotte in contratto.
Proprio l’alto rischio contrattuale che le parti si accordano a sopportare reciprocamente, assume rilevanza causale, divenendo elemento essenziale dei contratti aleatori.
Prima di affrontare il tema delle conseguenze derivanti dall’assenza di alea nei contratti aleatori, occorrono alcuni brevi cenni sulle differenze intercorrenti tra il contratto aleatorio di rendita vitalizia, tipizzato dal legislatore agli artt. 1872 ss. cc, e il contratto innominato di mantenimento, sempre più diffuso nella realtà socio giuridica.
Con il contratto di rendita vitalizia, una parte (c.d. vitaliziata) aliena un bene mobile/immobile o cede capitale al fine di beneficiare di prestazioni periodiche, da parte del vitaliziante, aventi ad oggetto la consegna di cose fungibili o di somme di danaro per tutta la durata della vita del beneficiario (o di altra persona designata dal contratto).
La rendita vitalizia, quando costituita a titolo oneroso, è un contratto aleatorio in quanto caratterizzata dall’incertezza del vantaggio o dello svantaggio economico della prestazione.
La durata della prestazione periodica del vitaliziante infatti (a fronte dell’alienazione del bene mobile/immobile o della cessione del capitale) è collegata alla durata incerta della vita del vitaliziato.
La portata del rischio che le parti si assumono ne giustifica la rilevanza causale, sicché qualora venisse meno quell’elemento d’incertezza in termini di vantaggio/svantaggio economico, da valutarsi al momento della stipulazione in quanto attinente al profilo causale del contratto aleatorio, difetterebbe di un elemento strutturale essenziale, con conseguente declaratoria di nullità ai sensi dell’art. 1418 comma secondo c.c.
La rilevanza causale che il rischio assume nell’assetto di interessi, giustifica poi l’esclusione, per la rendita vitalizia, del rimedio della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta: il vitaliziante sarà quindi tenuto alla sua prestazione periodica anche qualora divenisse molto gravosa.
Dall’altro, sebbene al vitaliziato sia preclusa la risoluzione per inadempimento in caso di mancato pagamento delle rate di rendita scadute, l’art. 1878 c.c. prevede la possibilità di ottenere il sequestro o la vendita dei beni del vitaliziante, affinché il ricavato sia impiegato per il pagamento della rendita.
La ratio della norma può essere rinvenuta nella funzione previdenziale dell’istituto e nella scarsa importanza che assume l’inadempimento nella rendita vitalizia, a fronte del meccanismo sostitutivo di cui all’art. 1878 c.c che consente al creditore della rendita di soddisfare coattivamente il suo credito.
Tradizionalmente i contratti aleatori erano visti con sfavore perché il trasferimento di ricchezza, non predeterminato a priori, era ancorato all’andamento del rischio contrattuale che le parti si assumevano e pertanto si ammettevano solo quei contratti aleatori, tipizzati agli artt. 1872 e ss del codice civile, in cui il giudizio di liceità e meritevolezza del negozio erano già predeterminati dal Legislatore.
Successivamente la giurisprudenza, accogliendo una nozione di causa in concreto intesa come funzione economico-individuale del contratto e come luogo in cui si compongono e si oggettivizzano gli interessi delle parti, ha ammesso pacificamente anche i contratti aleatori innominati, meritevoli di tutela ex art. 1322 comma secondo c.c., a fronte dei più svariati interessi di natura morale/assistenziale che tali negozi sono in concreto idonei a realizzare.
Tra questi ha avuto larga diffusione il contratto di mantenimento ovvero l’accordo con cui una parte, a fronte del trasferimento di un bene immobile o mobile o della cessione di capitale, si obbliga ad un facere complesso, comprensivo non solo dell’obbligo di fornire al beneficiario, vita natural durante, prestazioni materiali, ma anche prestazioni a carattere alimentare, assistenziale o morale.
Inizialmente il contratto di mantenimento fu qualificato come una species della rendita vitalizia di cui all’art. 1872 c.c. trattandosi entrambi di contratti aleatori, ad effetti reali dal punto di vista del vitaliziante e ad effetti obbligatori per il vitaliziato ed essendo entrambi connotati dalla necessaria presenza dell’alea del contratto.
Tuttavia oggi è pacifico, sia in dottrina che in giurisprudenza, che il contratto di mantenimento sia una figura atipica ed autonoma rispetto alla rendita vitalizia.
Sebbene entrambi i contratti siano caratterizzati dall’alea, nel contratto di mantenimento l’alea è duplice investendo sia la durata della prestazione, sia l’entità della stessa, variabile nel suo ammontare, quantitativo e qualitativo, in funzione all’imprevedibilità dei bisogni, anche morali ed assistenziali del beneficiario.
Ulteriore profilo che distingue le due figure è la natura delle prestazioni oggetto di contratto.
Mentre nella rendita vitalizia, il vitaliziante, a fronte del trasferimento di un bene immobile, si obbliga ad eseguire nei confronti del vitaliziato una prestazione periodica di consegnare (dare) una somma di danaro o altre cose fungibili, nel contratto di mantenimento il vitaliziante assume una prestazione complessa (di facere), non limitata alla corresponsione di una somma di danaro o di altre cose fungibili ma consistente nella assistenza morale e materiale, in relazione ai bisogni via via nascenti, del beneficiario.
Proprio per la natura complessa della prestazione del vitaliziante, la giurisprudenza è pacifica nel considerare il contratto di mantenimento un negozio fondato sull’intuitus personae, per il quale assume rilevanza anche la figura del vitaliziante.
Trattandosi di obbligazioni di natura infungibile, a carattere materiale e/o morale, il credito del vitaliziante non può quindi essere ceduto e il debito non è trasmissibile né inter vivos, né mortis causa.
Condividendo come la rendita vitalizia, la necessità che l’alea supporti la causa del negozio, la mancanza di incertezza circa la portata del vantaggio o dello svantaggio economico, comporta per entrambi i contratti, la nullità strutturale del contratto per assenza di causa ex art. 1418 comma secondo c.c., anche laddove vi sia la buona fede dei contraenti.
La causa infatti, sebbene costituisca la sintesi degli interessi soggettivi dei contraenti, li oggettivizza di modo che il giudizio causale dovrà essere ancorato a parametri oggettivi, tenendo però in considerazione anche l’intenzione delle parti in conformità agli artt. 1362 ss. c.c.
Occorre tuttavia precisare che il giudizio causale ai fini della validità del negozio, è più rigoroso nel contratto di mantenimento, in ragione della duplicità dell’alea che lo connota.
Invero, come anticipato, nel contratto di mantenimento l’incertezza concerne non solo la vita del beneficiario ma anche l’ammontare, quantitativo e qualitativo della prestazione del vitaliziante, variando in funzione dei bisogni del beneficiario.
Ciò significa che al momento della conclusione del contratto vi deve essere una obiettiva incertezza sulla durata di vita del beneficiario e un’eguale incertezza in relazione al rapporto tra il valore delle prestazioni dovute dal vitaliziante e il valore del cespite patrimoniale dato dal vitaliziato come corrispettivo.
In altri termini, vi deve essere non solo una proporzionale situazione di incertezza tra il vantaggio e la correlativa perdita economica ma anche l’imprevedibilità, al momento della stipulazione del contratto, della durata della vita del beneficiario. Diversamente il contratto sarà da ritenersi nullo per mancanza di causa in concreto.
La giurisprudenza ha pertanto escluso l’alea (rectius la causa) nel contratto di mantenimento laddove la durata della vita del vitaliziato fosse prevedibile, già al momento della costituzione della rendita, per la presenza di una grave malattia che ne avrebbe determinato il decesso in un breve lasso temporale.
Laddove invece sia stata accertata, sempre al momento della stipulazione del contratto, una evidente sproporzione tra il valore complessivo delle prestazioni di natura assistenziale/morale e il valore del cespite patrimoniale, la giurisprudenza in taluni casi ha ravvisato lo schema della donazione modale, per la quale è prevista la forma solenne della donazione ovvero a pena di nullità dell’atto pubblico, la presenza di due testimoni dinanzi al notaio.
In questi casi, i giudici di legittimità hanno rilevato più indici, quali l’intenzione delle parti, o la forma prescelta per la conclusione del contratto, che fossero oggettivamente idonei a rivelare la causa concreta del contratto o una causa liberale in luogo di quella aleatoria, che non necessariamente è un requisito dell’onerosità.
Così di recente, la Cassazione escludendo l’aleatorietà del contratto di mantenimento e valorizzando l’intenzione concreta delle parti, vi ha ravvisato un valido contratto di donazione modale, rispettosa dei requisiti solenni richiesti da tale istituto.
Se analogo è il giudizio causale da effettuarsi ai fini della validità dei contratti di rendita vitalizia e di mantenimento, diversa è invece la disciplina nel caso di inadempimento da parte del vitaliziante.
Mentre nella rendita vitalizia, il vitaliziato non può risolvere il contratto a fronte del mancato pagamento delle rate scadute, ma può solo ottenere la soddisfazione coattiva del suo credito (1878 cc), nel contratto di mantenimento l’eventuale inadempimento del vitaliziante comporterà la risolubilità del contratto (ai sensi dell’art. 1453 cc) con conseguente risarcimento del danno.
La diversità di disciplina si giustifica in ragione della diversa importanza che assume l’inadempimento nell’assetto negoziale e nella differente natura della prestazione dedotta in contratto: mentre nella rendita vitalizia la prestazione ha carattere fungibile, nel contratto di mantenimento l’infungibilità ed il carattere personale delle prestazioni di natura morale e assistenziale impediscono l’applicabilità del meccanismo sostitutivo di cui al 1878 c.c.