Il recesso dal comodato di immobile senza determinazione di durata
Il comodato è il contratto attraverso il quale una parte consegna all’altra una cosa - mobile o immobile - per consentirle di servirsene per un tempo o per un uso determinato, con l’obbligo di restituzione; si tratta di un contratto essenzialmente gratuito.
Dalla stessa definizione del contratto di comodato, racchiusa all’art. 1803 c.c., si evince che la previsione di un termine non è un requisito essenziale del contratto stesso, pertanto è necessario determinare - nell’ipotesi in cui non sia stato pattuito dalle parti un termine - i limiti entro cui il comodante è libero di esercitare il diritto di recesso.
Per rispondere a tale quesito è necessario passare in rassegna il disposto di cui agli artt. 1809 e 1810 c.c., laddove il primo sancisce - in capo al comodatario - l’obbligo di restituzione della cosa alla scadenza del termine convenuto o, laddove il termine difetti, quando il comodatario stesso se ne sia servito in conformità del contratto; il successivo art. 1810 c.c. si occupa espressamente dell’ipotesi in cui il comodato non abbia una determinazione di durata e prevede che, in tal caso, il comodatario sia obbligato a restituire la cosa non appena il comodante la richieda.
Tale diritto del comodante di esercitare il recesso ad nutum non è, però, illimitato ed è pertanto fondamentale delineare il perimetro entro il quale può essere esercitato.
Nella prassi accade sovente che il comodato racchiuda la volontà delle parti di destinare l’immobile ad un determinato uso, ossia quello di abitazione familiare, destinazione che impedisce, di fatto, al contratto di essere portato a scioglimento prima della cessazione dell'uso medesimo.
Granitica giurisprudenza, infatti, sostiene che il comodato - stipulato senza la fissazione di un termine di durata - di un immobile adibito, per inequivoca e comune volontà delle parti contraenti, ad abitazione di un nucleo familiare, di fatto non può essere risolto in virtù della mera manifestazione di volontà ad nutum espressa dal comodante ai sensi dell'art. 1810 c.c., dal momento che deve ritenersi impresso al contratto un vincolo di destinazione alle esigenze abitative familiari, idoneo a conferire, all'uso cui la cosa è destinata, il carattere implicito della durata del rapporto.
Ne consegue che il rilascio dell'immobile, finché non cessano le esigenze abitative familiari, cui esso è stato destinato, può essere richiesto, ai sensi dell'art. 1809 c.c., secondo comma, solo nell'ipotesi di un bisogno contrassegnato dall'urgenza e dall'imprevedibilità (Cass. Civ. 13592/11; Cass. Civ. 2711/17).
Peraltro, la giurisprudenza di legittimità ha evidenziato che il suddetto limite sussiste anche nell’ipotesi in cui, nel contratto, le parti abbiano pattuito il diritto del comodante di esercitare liberamente il recesso attraverso una semplice richiesta di restituzione del bene oggetto del contratto stesso: “inoltre nel caso di specie, è vero che ci si trova di fronte ad una scrittura privata, trascritta dai ricorrenti, dove si prevede che il rapporto di comodato, pur stipulato in favore di un nucleo familiare, sia risolvibile ad nutum dai comodanti, su semplice richiesta, da considerare quale termine del comodato stesso. Ma ciò non può far desumere la “forma” (natura) del comodato dalla disciplina contrattuale del recesso, laddove – al contrario – è dall'inquadramento del comodato, nell'uno o nell'altro tipo, che deriva la disciplina del recesso. In sostanza se la destinazione dell'immobile è quella di casa familiare del figlio (e poi del coniuge separato) è questa che rileva in ordine alla durata del comodato e non già la clausola contrattuale di recedibilità ad nutum che è destinata a rimanere inefficace fintanto che permane quella di destinazione. Pertanto il comodato, stipulato senza prefissione di termine, di un immobile successivamente adibito, per inequivoca e comune volontà delle parti contraenti, ad abitazione di un nucleo familiare, non può essere risolto in virtù della mera manifestazione di volontà ad nutum espressa dal comodante dal momento che deve ritenersi impresso al contratto un vincolo di destinazione alle esigenze abitative familiari idoneo a conferire all'uso cui la cosa è destinata il carattere implicito della durata del rapporto, anche oltre la crisi familiare tra i coniugi. Ne consegue che il rilascio dell'immobile, finché non cessano le esigenze abitative familiari cui esso è stato destinato, può essere richiesto, ai sensi dell'art. 1809 c.c., comma 2, solo nell'ipotesi di un bisogno contrassegnato dall'urgenza e dall'imprevedibilità” (Cass. Civ., Sez. III, 2 febbraio 2017, n. 2711).
Ne consegue che, se per effetto della concorde volontà delle parti si è impresso al contratto di comodato d'uso abitativo gratuito un vincolo di destinazione alle esigenze abitative familiari, tale vincolo è “idoneo a conferire all'uso – cui la cosa deve essere destinata – il carattere implicito della durata del rapporto, anche oltre la eventuale crisi coniugale e senza possibilità di far dipendere la cessazione del vincolo esclusivamente dalla volontà, ad nutum, del comodante” (Cass. Civ., Sez. II, 13 febbraio 2006, n. 3072).
E ancora: “quando un bene immobile sia dato in comodato per essere destinato a casa coniugale, senza limiti di tempo in favore di un nucleo familiare o in corso di formazione, si versa nell'ipotesi di comodato a tempo indeterminato e l'immobile resta vincolato alla destinazione impressa finché perdurino le esigenze della famiglia” (Cass. Civ., Sez. I, 2 ottobre 2012, n. 16769).
Concludendo, è di cristallina evidenza che, in tali ipotesi di contratto di comodato vincolato all'uso di casa familiare, lo stesso contratto è svincolato dalla disciplina sancita dall'art. 1810 c.c. per il cosiddetto “comodato precario” che legittima il recesso ad nutum, trovando a contrariis applicazione il disposto di cui all'art. 1809 c.c.
A suffragio di ciò, la giurisprudenza di legittimità ha negli anni evidenziato che “nell'ambito di tale orientamento, assolutamente prevalente, si è recentemente ribadito che la specificità della destinazione a casa familiare, quale punto di riferimento e centro di interessi del nucleo familiare è incompatibile con un godimento contrassegnato dalla provvisorietà e dall'incertezza che caratterizzano il comodato cosiddetto precario e che legittimano la cessazione “ad nutum” del rapporto su iniziativa del comodante” (ex multis, Cass. Civ., Sez. I, 2 ottobre 2012, n. 16769).