Covid-19 e obbligo vaccinale

La pandemia in atto richiede uno sforzo continuo di bilanciamento tra diritti e interessi diversi in conflitto. Uno di questi concerne l’obbligo del personale sanitario di sottoporsi a vaccinazione diretta alla prevenzione dell’infezione da coronavirus a scapito del diritto di autodeterminazione alla scelta terapeutica, che si traduce nel diritto a rifiutare di sottoporsi al suddetto vaccino.

Per comprendere se la scelta del legislatore sia conforme alla nostra carta costituzionale è necessario procedere ad un’analisi dettagliata delle disposizioni vigenti.

L'obbligo del personale sanitario di sottoporsi a vaccinazione gratuita per la prevenzione dell'infezione da SARS-COV-2 è racchiuso all'art. 4, comma 1, del d.l. 44 del 1 aprile 2021, ove è stabilito che il suddetto obbligo è sancito "al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza".

Nel novero dei soggetti obbligati vengono contemplati gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario (sono ricompresi i farmacisti, i medici chirurghi, gli odontoiatri, i veterinari, i biologi, i fisici, i chimici, gli psicologi, gli esercenti le professioni sanitarie infermieristiche, le ostetriche, nonché gli operatori di interesse sanitario).

Un ulteriore requisito che legittima l'inclusione dei suddetti lavoratori nell'obbligo vaccinale è rappresentato dallo “svolgimento dell'attività lavorativa nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie , parafarmacie e negli studi professionali".

Si precisa che l'obbligo sussisterà fino alla completa attuazione del piano strategico nazionale dei vaccini.

Ai sensi dell'art. 4 comma 2 del suindicato d.l. 44/2021 sono esentati dall'obbligo esclusivamente coloro per i quali il medico di base accerti un pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate dallo stesso medico.

L’articolato procedimento di verifica dello stato vaccinale è espressamente disciplinato dall'art. 4 d.l. 44/2021 ai commi 3, 4,5,6 e 7.

In particolare, gli Ordini professionali e i datori di lavoro devono trasmettere a Regioni e Province Autonome gli elenchi degli iscritti e dei lavoratori dipendenti, al fine di verificare se i medesimi lavoratori siano già stati vaccinati o abbiano presentato domanda di vaccinazione.

La Regione è parimenti tenuta a segnalare all’ASL i nominativi di coloro che non risultano vaccinati o che non hanno presentato la domanda di vaccinazione, onde consentire all’ente di procedere ad invitare i soggetti a presentare la documentazione concernente l'obbligo vaccinale nel termine perentorio di 5 giorni dalla notifica.

Nell'ipotesi in cui i destinatari non provvedano a presentare documentazione attestante l'avvenuta vaccinazione, le ASL procedono all’invito formale a sottoporsi alla somministrazione del vaccino.

Se dovesse risultare l'inosservanza dell'obbligo vaccinale nonostante l’invito formale, l'ASL competente territorialmente procederà alla notifica dell'atto amministrativo di accertamento dell'inadempimento al soggetto interessato, al datore di lavoro, nonché all'Ordine professionale di appartenenza, provvedimento che costituisce titolo per procedere alla sospensione del soggetto inadempiente; il datore di lavoro e l’Ordine professionale di appartenenza dovranno, infatti, provvedere "immediatamente" alla sospensione del soggetto che non si è sottoposto a vaccino dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni "che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-COV-2".

Gli atti amministrativi di sospensione mantengono efficacia "fino all'assolvimento dell'obbligo vaccinale o, in mancanza, fino al completamento del piano vaccinale nazionale e comunque non oltre il 31 dicembre 2021” (art. 4, comma 9, d.l. 44/2021).

Il successivo comma 10 dell'art. 4 in commento conferisce al datore di lavoro la facoltà, per il periodo in cui la vaccinazione è omessa o differita (e comunque non oltre il 31 dicembre 2021) di adibire i soggetti inadempienti a mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione, in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-COV-2.

Analizzata la disciplina vigente in materia di obbligo vaccinale, è possibile procedere alla disamina della compatibilità della suddetta disciplina con i principi enucleati nella carta costituzionale.

A tal fine, ricordiamo che l'art. 32 Cost., al primo comma, erige la tutela della salute a diritto fondamentale dell'individuo (nonché interesse della comunità).

La Costituzione conferisce - al secondo comma dell’articolo in commento - al legislatore il potere di imporre trattamenti sanitari obbligatori, pur stabilendo al contempo delle condizioni che devono essere rispettate affinché un trattamento sanitario obbligatorio possa considerarsi costituzionalmente legittimo.

Più precisamente, un trattamento sanitario obbligatorio per essere costituzionalmente legittimo deve essere previsto da una legge (riserva di legge), deve essere determinato (non sono ammissibili trattamenti sanitari obbligatori che non siano previsti in modo sufficientemente preciso dalla legge), non deve essere pregiudizievole per la salute del soggetto che vi è sottoposto e deve avere come finalità la tutela dell’interesse della collettività alla salute.

Sulla base della lettura combinata del primo e del secondo comma dell’articolo 32 della Costituzione, la dottrina unanime ha sostenuto che l’interesse dell’individuo alla salute, da un lato, e l’interesse della collettività alla salute, dall’altro, debbano coesistere. Ne consegue che l’imposizione di un trattamento sanitario obbligatorio non può mai avvenire nel solo interesse dell’individuo, al contrario tale imposizione deve risultare necessaria per scongiurare una situazione di pericolo per la salute della collettività (oltre che per tutelare la salute del singolo individuo sottoposto al trattamento sanitario).

Concludendo, seguendo l’insegnamento della dottrina costituzionalistica - la quale è concorde nel ritenere che solo l’esigenza eccezionale di tutela della dimensione collettiva della salute possa legittimare il sacrificio della libertà dell’individuo determinato dall’imposizione di trattamenti sanitari - deve ritenersi, nel caso di specie, che la libertà di autodeterminazione trova un limite nell'ipotesi dell'obbligo vaccinale da prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2, concepito quale trattamento sanitario obbligatorio.

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Gelosia e diritto penale: circostanza aggravante o attenuante del reato?

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Il favoritismo privato non costituisce reato di abuso d’ufficio (Cass. pen. n. 14214 del 15 aprile 2021)