Gli strumenti contro la violenza di genere

L’approssimarsi della festa internazionale contro la violenza sulle donne e il susseguirsi degli ultimi atroci fatti di cronaca impongono un’analisi su quali siano gli strumenti che l’ordinamento mette a disposizione contro la violenza di genere. Il suddetto fenomeno è particolarmente deplorevole perché coinvolge atti di violenza commessi ai danni di donne e per opera di un uomo che è stato a loro legato da una relazione affettiva, con conseguente lesione dei diritti inviolabili cristallizzati all’art. 2 della Costituzione.

Se da un lato è vero che la soluzione del problema impone innanzitutto un radicale cambiamento culturale, dall’altro è fondamentale per gli operatori del diritto - chiamati sempre di più a tutelare le donne vittime di violenza - conoscere a fondo i rimedi esperibili.

Innanzitutto si evidenzia che il concetto di “violenza contro le donne” è racchiuso all’art. 1 della Dichiarazione ONU sull’eliminazione della violenza contro le donne, secondo il quale: “l'espressione "violenza contro le donne" significa ogni atto di violenza fondata sul genere che abbia come risultato, o che possa probabilmente avere come risultato, un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, che avvenga nella vita pubblica o privata”.

La maggior parte della legislazione posta a tutela della parità di trattamento tra gli uomini e le donne e, in particolare, a protezione della donna sono di derivazione sovranazionale ed Europea.

Infatti, si evidenzia a tal fine che il primo strumento internazionale, giuridicamente vincolante, posto a tutela delle donne contro la violenza domestica è rappresentato dalla Convenzione di Istanbul, composta da un preambolo, 81 articoli divisi in 12 capitoli e un allegato; la suddetta Convenzione è stata sottoscritta dall’Italia in data 27 settembre 2012 e, successivamente, il Parlamento ha autorizzato la ratifica con la legge n.77/2013.

La Convenzione interviene specificamente nell’ambito della violenza domestica, che non colpisce solo le donne, ma anche altri soggetti, come bambini e anziani, ai quali si applicano pertanto le medesime norme di tutela.

Il testo indica, in 81 punti, le misure destinate a tutelare i diritti delle vittime. Innanzitutto, la vittima deve essere garantita senza alcuna discriminazione fondata sul sesso, sul genere, sulla razza, sul colore, sulla lingua, sulla religione, sulle opinioni politiche o di qualsiasi altro tipo, sull’origine nazionale o sociale, sull’appartenenza a una minoranza nazionale, sul censo, sulla nascita, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere, sull’età, sulle condizioni di salute, sulla disabilità, sullo status matrimoniale, sullo status di migrante o di rifugiato o su qualunque altra condizione.

La Convenzione impone agli Stati aderenti di adottare tutte le misure necessarie per promuovere i cambiamenti nei comportamenti socio-culturali degli uomini e delle donne, con l’obiettivo di eliminare qualsivoglia pregiudizio e ogni pratica basata sull’idea di inferiorità della donna o su modelli stereotipati dei ruoli delle donne e degli uomini. A tal fine, gli Stati si impegnano a porre in essere una campagna di sensibilizzazione, nonché a intraprendere le azioni necessarie per includere nei programmi scolastici materiali inerenti i temi della parità tra i sessi, i ruoli di genere non stereotipati, il reciproco rispetto, la soluzione non violenta dei conflitti nei rapporti interpersonali, la violenza contro le donne basata sul genere e il diritto all’integrità personale.

Non solo. La Convenzione di Istanbul prevede, altresì, la predisposizione di programmi di intervento di carattere preventivo e di intervento per gli autori di atti di violenza domestica, i quali andrebbero incoraggiati ad adottare comportamenti non violenti nelle relazioni interpersonali, al fine di prevenire nuove violenze e di modificare i modelli comportamentali violenti.

Più nel dettaglio, la Convenzione di Istanbul impone agli Stati aderenti di punire, con conseguente risarcimento dei danni, una serie di comportamenti di violenza nei confronti delle donne, dagli atti persecutori (c.d. stalking) alla violenza fisica, dallo stupro al matrimonio forzato, dalle mutilazioni genitali all’aborto o alla sterilizzazione forzati, fino alle molestie sessuali; inoltre, viene promossa un’armonizzazione delle legislazioni per colmare vuoti normativi a livello nazionale e facilitare la lotta alla violenza anche a livello internazionale. In materia di sanzioni, si chiede alle Parti di adottare misure volte a garantire che i reati in essa contemplati siano oggetto di punizioni efficaci, proporzionate e dissuasive, commisurate alla loro gravità.

Infine, la Convenzione stabilisce l’obbligo per le Parti di adottare normative che permettono alle vittime di ottenere giustizia, nel campo civile, e compensazioni, in primo luogo dall’offensore, ma anche dalle autorità statali se queste non hanno messo in atto tutte le misure preventive e di tutela volte ad impedire la violenza.

La normativa nazionale sul contrasto alla violenza di genere è racchiusa, invece, nella legge n. 69 del 19 luglio 2019 (c.d. “Codice Rosso”), entrata in vigore il 9 agosto 2019 allo scopo di rafforzare la tutela delle donne vittime di crimini domestici e, in generale, di tutti i soggetti più indifesi (compresi i minori), apportando – a tal fine – rilevanti modifiche alla relativa disciplina penale, sostanziale e processuale.

Il Codice Rosso è composto da 21 articoli che individuano un catalogo di reati attraverso i quali si esercita la violenza domestica e di genere.

L’obiettivo del legislatore nazionale è triplice: in primo luogo la prevenzione dei reati, in secondo luogo la protezione delle vittime e, infine, la punizione dei colpevoli, rafforzando in tal senso le tutele processuali delle vittime di reati violenti.

Il suddetto codice ha introdotto quattro nuove figure delittuose. Più precisamente, si evidenzia che la novità più significativa è costituita dall’introduzione nel nostro ordinamento, all’art. 612 ter c.p., del nuovo reato di “revenge porn“, volto alla repressione del dilagante fenomeno di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti.

Il nuovo art. 612 ter c.p., in particolare, stabilisce che: “1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000. 2. La stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video di cui al primo comma, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento. 3. La pena è aumentata se i fatti sono commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici. 4. La pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza. 5. Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. Si procede tuttavia d’ufficio nei casi di cui al quarto comma, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio“.

La ratio sottesa alla nuova fattispecie incriminatrice è, con tutta evidenza, quella di contrastare la diffusa pratica di vendicarsi di qualcuno (molto spesso dell’ex partner), diffondendo – senza alcun consenso – materiale sessualmente esplicito che lo ritrae.

Dall’analisi della nuova fattispecie incriminatrice emerge che sono cinque le condotte sanzionate, ossia inviare, consegnare, cedere, pubblicare, diffondere immagini o video dal contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere nella sfera privata dei soggetti ritratti e senza il consenso di questi ultimi. Risponde del reato anche chi diffonde tale materiale dopo averlo a sua volta ricevuto.

Il comma terzo dell’art. 612 ter prevede una circostanza aggravante laddove il fatto sia commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da altra persona legata sentimentalmente alla persona offesa.

Per quanto concerne il regime di procedibilità, il reato è punito a querela della persona offesa ma il termine per la proposizione è lungo e fissato in 6 mesi (è evidente l’analogia con il regime di procedibilità stabilito per i reati di violenza sessuale).

Un’altra modifica rilevante al codice penale è stata apportata dall’introduzione del nuovo reato di “deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso” di cui all’art. 583 quinquies c.p., il quale prevede che: “Chiunque cagiona ad alcuno lesione personale dalla quale derivano la deformazione o lo sfregio permanente del viso è punito con la reclusione da otto a quattordici anni. La condanna ovvero l’applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale per il reato di cui al presente articolo comporta l’interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla curatela e all’amministrazione di sostegno“.

Il nuovo reato è stato introdotto allo scopo precipuo di distogliere i consociati dal cagionare lesioni mediante l’utilizzo di acido corrosivo; significativa in tal senso è la rilevante cornice edittale della pena della reclusione, stabilita per le suddette condotte da otto a quattordici anni.

Il “Codice Rosso” ha introdotto, altresì, il reato di costrizione o induzione al matrimonio di cui all’art. 558 bis c.p. e il reato di violazione delle misure cautelari di allontanamento dalla casa familiare e di violazione del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa ex art. 387 bis c.p.

Oltre all’introduzione delle nuove fattispecie delittuose appena analizzate, la riforma de qua ha, altresì, inasprito le pene previste per i reati di atti persecutori ex art. 612 bis c.p. (stalking), di violenza sessuale di cui all’art. 609 bis c.p. e di violenza sessuale di gruppo ex art. 609 octies c.p.

Anche sul fronte procedurale sono state introdotte significative modifiche. Anzitutto, la nuova legge n. 69 del 2019 ha reso più celere l’avvio del procedimento penale nell’ipotesi in cui si siano configurati i reati di maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale, atti persecutori (stalking), in modo tale da favorire la pronta adozione di provvedimenti volti alla protezione delle vittime.

A tal fine, è stato stabilito l’obbligo in capo alla polizia giudiziaria – non appena acquisita la notitia criminis – di riferire immediatamente la suddetta notizia di reato al pubblico ministero, anche in forma orale.

Il pubblico ministero, a sua volta, dovrà assumere informazioni dalla persona offesa o da colui che ha denunciato i fatti di reato entro il termine di tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato nel relativo registro.

Al contempo, è stato esteso il campo di applicazione delle misure di prevenzione (ora applicabili anche al reato di maltrattamenti in famiglia ex art. 572 c.p.) ed è prevista la possibilità, per il giudice, di garantire il rispetto della misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa mediante l’utilizzo di mezzi elettronici o altri strumenti tecnici (come ad es. il braccialetto elettronico), estendendo in tal modo una modalità attuativa in origine prevista soltanto per la misura cautelare degli arresti domiciliari.

Inoltre, sono state introdotte importanti modifiche in punto di procedibilità. Con riferimento ai delitti previsti dagli articoli 609-bis e 609-ter c.p., ferma restando la procedibilità a querela della persona offesa (irrevocabile), il relativo termine è elevato a dodici mesi. Sempre con riferimento alle novità di carattere sostanziale, interessa ricordare che l’articolo 6 della legge n. 69/2019 aggiunge un comma all’art. 165 del codice penale in materia di sospensione condizionale della pena, subordinando la concessione del beneficio, quando si procede per reati di violenza domestica e di genere, alla partecipazione a specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero dei soggetti condannati per i medesimi reati. Gli oneri derivanti dalla partecipazione a detti corsi sono a carico del condannato.

Recentemente la suindicata legge è stata oggetto di ulteriori modifiche: la legge n. 122 del 2023, infatti, è intervenuta su uno degli aspetti caratterizzanti la procedura da seguire nei procedimenti per delitti di violenza domestica e di genere, ossia l'obbligo per il pubblico ministero di assumere informazioni dalla persona offesa o da chi ha denunciato i fatti di reato entro tre giorni dall'iscrizione della notizia di reato; la citata legge n. 122 prevede che, qualora il pubblico ministero non abbia rispettato il suddetto termine, il procuratore della Repubblica possa revocare l'assegnazione del procedimento al magistrato designato e assumere senza ritardo le informazioni dalla persona offesa o da chi ha presentato denuncia direttamente o mediante assegnazione a un altro magistrato dell'ufficio.

In questi giorni il Senato ha approvato il disegno di legge che racchiude “disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica”; più precisamente, viene ampliato l’ambito applicativo degli strumenti dell’ammonimento, del braccialetto elettronico, della distanza minima di avvicinamento ai cosiddetti “reati spia” che possono preannunciare il femminicidio. Infatti, se l’autore del reato di atti persecutori o di “revenge porn” è già stato ammonito, si procede d’ufficio, anche se la persona offesa è diversa da quella per la cui tutela è stato adottato l’ammonimento.

Per quanto concerne l’utilizzo della modalità di controllo del braccialetto elettronico, invece, il nuovo disegno di legge stabilisce che per i reati di atti persecutori, revenge porn, violenza (fisica e psicologica), minaccia, maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale, venga disposto il mezzo di controllo del braccialetto elettronico e, nel caso in cui l’autore del reato neghi il consenso, la durata della misura cautelare non può essere inferiore a 3 anni.

Infine, per quanto concerne la distanza minima di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, la nuova normativa stabilisce che il Tribunale impone all’autore del reato il divieto di avvicinarsi a determinati luoghi, abitualmente frequentati dalle persone cui occorre prestare protezione e l’obbligo di mantenere una determinata distanza che non può essere inferiore a cinquecento metri.

Concludendo, gli strumenti posti a tutela delle vittime della violenza di genere sono molteplici e sono racchiusi nella Convenzione di Istanbul e nel Codice Rosso c.d. rafforzato e mirano, innanzitutto, a potenziare l’aspetto della prevenzione dei reati, nonché a introdurre nuove figure delittuose in grado di tipizzare i fenomeni più diffusi e, infine, a inasprire il trattamento sanzionatorio.

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