Il danno dei prossimi congiunti è diretto e non riflesso
Con una recentissima ordinanza n. 7748/2020, la Cassazione ha stabilito che nel caso di incidente stradale, il danno patito dai prossimi congiunti della vittima, è un danno diretto e non un danno riflesso, come si era da sempre sostenuto in giurisprudenza.
Nello specifico, prima di tale pronuncia si riteneva che il danno dei prossimi congiunti fosse un danno riflesso, che si traduceva nel “totale sconvolgimento delle abitudini di vita”.
Per ottenere il risarcimento del danno, come riflesso dell’incidente occorso al proprio prossimo congiunto, era dunque necessario dimostrare che le conseguenze dell’incidente avessero, di riflesso, stravolto o modificato in modo rilevante le proprie abitudini di vita.
Ma andiamo con ordine.
La vicenda riguardava un incidente tra autoveicolo e motoveicolo. Dopo l’incidente il proprietario del motoveicolo decedeva mentre il trasportato subiva delle lesioni gravi. A quest’ultimo veniva riconosciuto il danno alla persona così come ai prossimi congiunti ma come danno riflesso.
Il trasportato e i suoi prossimi congiunti impugnarono la sentenza che venne rigettata per mancanza di prova del danno invocato dai prossimi congiunti. A fondamento del rigetto, la Corte di Appello precisava come il mero rapporto di parentela non fosse di per sè sufficiente a ritenere provato il danno invocato.
Si finisce così dinanzi alla Corte di Cassazione.
A parere dei giudici di legittimità il pregiudizio sofferto dai familiari è un danno diretto anche se da sempre considerato erroneamente un danno riflesso, perché i prossimi congiunti vengono impropriamente considerate “vittime secondarie” del fatto illecito altrui.
Essendo la lesione per fatto illecito altrui un fatto plurioffensivo, con effetti su vittime diverse, anche «il danno subito dai familiari è diretto, non riflesso, ossia è la diretta conseguenza della lesione inferta al parente prossimo».
I prossimi congiunti della vittima possono infatti patire, quale diretta conseguenza del fatto illecito altrui:
– sia un danno morale;
– sia un danno biologico.
In entrambi i casi, il rapporto di parentela stretta, intercorrente con la vittima, in base a ciò che comunemente accade (id quod plerumque accidit), fa presumere che genitori e fratelli soffrano per le lesioni permanenti riportate dal congiunto,
Queste sofferenze, ascrivibili ai prossimi congiunti, non necessariamente si esauriscono in uno sconvolgimento delle abitudini di vita, come finora sostenuto nella giurisprudenza prevalente, trattandosi di danno che è diretta conseguenza dell’incidente.
Si tratta di conseguenze, dice la Cassazione, che sono estranee al danno morale, che è piuttosto la soggettiva perturbazione dello stato d’animo, il patema, la sofferenza interiore della vittima, a prescindere dalla circostanza che influisca o meno sulle abitudini di vita.
Sulla base di tali premesse, i giudici di legittimità ritengono che i patemi subiti dai prossimi congiunti della vittima di un fatto illecito altrui, siano essi danni morali o biologici, possano essere dimostrati anche tramite presunzioni, perché anch’esse vittime primarie. Tra le presunzioni ammissibili rileva sicuramente anche il rapporto di stretta parentela!