L’esdebitazione è applicabile ai debiti tributari per iva?
L’esdebitazione è stata introdotta nel nostro ordinamento con la legge n. 3 del 27 gennaio 2012 e permette ai cittadini (e ai consumatori) di proporre ai creditori un piano di rientro per cancellare i propri debiti, consentendo una completa riabilitazione economico-finanziaria al soggetto che si avvale della procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento.
Si tratta di uno strumento riservato ai soggetti non fallibili che si trovano in grosse difficoltà economiche e che hanno debiti verso terzi, più precisamente sono ricompresi: 1) i piccoli imprenditori, ossia commercianti, artigiani, professionisti, agricoltori, start up, imprenditori sotto soglia; 2) i privati cittadini (tutti i consumatori senza partita iva) che hanno assunto debiti per finalità estranee all’esercizio di impresa o all’attività professionale.
La domanda andrà proposta dinanzi l’Organo per la Composizione della Crisi da Sovraindebitamento (c.d. O.C.C.), il quale dovrà dapprima valutare la sussistenza dei presupposti di legge per poi procedere alla nomina di un professionista - il gestore della crisi - che assisterà il debito nel corso delle fasi di ristrutturazione del debito, realizzando la soddisfazione di tutti i creditori.
Nonostante inizialmente prevista per i soli soggetti non fallibili, l’esdebitazione è stata presa in considerazione dal legislatore anche nella riforma fallimentare (artt. 142 - 145 L. F.) e opera come la liberazione del debitore "fallito", persona fisica, dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti integralmente, seppur in presenza di alcune condizioni. L'esdebitazione non spetta se i creditori concorsuali non sono stati pagati neppure in parte. L'obiettivo è quello di recuperare l'attività economica del fallito per permettergli un nuovo inizio, una volta azzerate tutte le posizioni debitorie.
Passando in rassegna le condizioni in cui è ammessa l’esdebitazione del fallito, la legge richiede che sussistano le seguenti condizioni:
a) l'avere cooperato con gli organi della procedura;
b) non avere beneficiato di altra esdebitazione nei dieci anni precedenti;
c) l'aver consegnato al curatore la propria corrispondenza come previsto dall'art. 48 L.F.;
d) non avere tenuto comportamenti penalmente rilevanti, quali distrazione dell'attivo o esposizione di passività inesistenti, causazione o aggravamento del dissesto rendendo difficile la ricostruzione del patrimonio e degli affari, ricorso abusivo al credito ovvero nel non avere riportato condanne per bancarotta fraudolenta o per delitti contro l'economia pubblica, l'industria o il commercio, salvo che per tali reati sia intervenuta la riabilitazione.
In presenza dei suddetti presupposti, il debitore può chiedere di accedere all’esdebitazione entro un anno dall’emanazione del decreto di chiusura del fallimento.
Negli anni sono sorti contrasti interpretativi in ordine alla corretta applicazione dello strumento di composizione della crisi da sovraindebitamento, specie in ordine alla legittimità della richiesta di pagamento dell’IVA a seguito dell’ottenimento del decreto di esdebitazione, attraverso il quale il debitore ottiene la liberazione dal complesso dei debiti residui (tra i quali alcuni di natura fiscale).
Infatti, la normativa nazionale dell’esdebitazione - in particolare il riferimento è all’art. 142 L.F. - pone problemi di compatibilità con il diritto dell’Unione Europea in materia di debiti IVA.
Sul punto è dovuta intervenire la Corte di Cassazione che, nel 2015 con ordinanza n. 13542, ha chiesto alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea di pronunciarsi sul seguente quesito pregiudiziale: "L'art. 4 TUE, paragrafo 3, e della sesta Dir. n. 388 del 1977, artt. 2 e 22, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari, devono essere interpretati nel senso che essi ostano all'applicazione, in materia di imposta sul valore aggiunto, di una disposizione nazionale che prevede l'estinzione dei debiti nascenti dall'IVA in favore dei soggetti ammessi alla procedura di esdebitazione disciplinata dal R.D. n. 267 del 1942, artt. 142 e 143".
La causa pregiudiziale C-493/15 è stata definita dal giudice dell’Unione Europea con sentenza del 16 marzo 2017 che ha sancito la compatibilità tra la normativa europea in materia di debiti IVA e la procedura di esdebitazione, rispondendo negativamente al quesito sottoposto. In particolare, il giudice Europeo rileva che il quadro sovranazionale non osta alla declaratoria di inesigibilità dei debiti IVA correlata all'applicazione della normativa interna sull'esdebitazione del fallito persona fisica, essendo la concessione del beneficio di cui all’art. 142 L.F. sottoposta a condizioni rigorose.
Della questione è tornata ad occuparsi recentemente la giurisprudenza di legittimità, con la sentenza n. 18124 del 6 giugno 2022.
Più precisamente, il caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte riguardava la richiesta di versamento di somme a titolo di IVA e IRAP perpetrata dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di un socio accomandatario di una società fallita, il quale aveva ottenuto in precedenza il decreto di esdebitazione nei riguardi dei creditori concorsuali rimasti insoddisfatti dalla liquidazione fallimentare.
Nella sentenza in commento i giudici di legittimità, nel ripercorrere le argomentazioni messe in luce dalla Corte di Giustizia, hanno evidenziato la rigorosità dei requisiti (soggettivo e oggettivo) che la normativa nazionale impone al fallito per poter usufruire dell’esdebitazione.
Più nel dettaglio, l’art. 142 L.F., al primo comma, impone una serie di requisiti soggettivi di meritevolezza: la persona fisica deve aver cooperato con gli organi della procedura (n. 1), non aver fatto ritardare lo svolgimento di essa (n. 2), non avere violato la consegna al curatore della corrispondenza relativa ai rapporti patrimoniali compresi nel fallimento (n. 3), non avere beneficiato di altra esdebitazione nei dieci anni precedenti la domanda (n. 4), non avere distratto l'attivo, simulato il passivo, aggravato l'insolvenza o fatto ricorso abusivo al credito (n. 5), non avere subito una condanna con sentenza passata in giudicato per bancarotta fraudolenta o delitti contro l'economia pubblica, l'industria e il commercio e altri delitti compiuti in connessione con l'esercizio dell'attività di impresa (n. 6).
Inoltre, è richiesto altresì un requisito oggettivo al secondo comma della norma in commento che si esplica nel fatto che la procedura esdebitatoria esige non solo che il patrimonio del debitore sia stato liquidato nella sua totalità (tanto che al debitore non rimanga all'attualità alcunché da dare in aggiunta), ma anche che i creditori concorsuali siano stati soddisfatti almeno in parte.
Soltanto ove ricorrano tali presupposti rigidi, l'esdebitazione vale ad assicurare il superamento della regola "ordinaria" della responsabilità perpetua del debitore, di cui all'art. 2740 Cod. Civ.
Giova parimenti evidenziare che il suindicato art. 142 L.F. ricomprende nel cerchio dell'esdebitazione tutte le obbligazioni derivanti da rapporti inerenti all'esercizio dell'impresa, sono dunque annessi anche i debiti tributari e le correlate sanzioni. A riprova di ciò, non è un caso che nel novero ristretto delle esclusioni dall'efficacia liberatoria del beneficio sono annoverati unicamente gli obblighi di mantenimento e alimentari, i debiti per il risarcimento dei danni da fatto illecito extracontrattuale, le sanzioni penali ed amministrative di carattere pecuniario non accessorie dei debiti estinti (non anche tutte le sanzioni in quanto tali), le obbligazioni derivanti da rapporti estranei all'esercizio d'impresa. Alcuna menzione, tra le ipotesi di esclusione, viene riservata ai debiti tributari.
Alla luce di tante e tali considerazioni la Corte di Cassazione giunge a rigettare il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate, enfatizzando la ratio dello strumento in analisi - il quale risponde alla rilevante esigenza di consentire al debitore svincolato dai debiti pregressi (c.d. discharge), di ripartire e riproporsi nella società (c.d. fresh restart), senza dover scontare vita natural durante un'insormontabile limitazione nel reinserimento nel circuito sociale ed economico in ragione di debiti rimasti insoluti - e affermando il seguente principio di diritto: “in tema di fallimento, l'esdebitazione del fallito di cui agli artt. 142 e 143 L.Fall. è applicabile anche ai debiti IVA, non contrastando con l'art. 4, par. 3, TUE e con gli artt. 2 e 22 della Direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977 (cd. "Sesta Direttiva"), in materia di sistema comune di imposta sul valore aggiunto”.