Locazione ad uso commerciale e Covid-19
Quello locatizio è sicuramente uno dei settori sul quale l’emergenza Covid-19 ha avuto un notevole impatto, soprattutto per i conduttori ad uso commerciale, la cui attività è stata sospesa per due mesi.
I provvedimenti governativi emanati per contenere il contagio se ne sono occupati marginalmente, lasciando spesso privi di certezze molti commercianti in ordine al pagamento/riduzione dei canoni mensili.
In particolare, l’art. 91 del decreto Cura Italia (18/2020) prevede che il rispetto delle misure di contenimento dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 debba essere valutato ai fini dell’esclusione della responsabilità del debitore e ciò, sia con riguardo al risarcimento del danno, sia in tema di applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti.
Ma tale disposizione non sortisce alcun effetto liberatorio nei confronti dei conduttori, i quali restano obbligati al pagamento dei canoni degli immobili locati, sebbene mai utilizzati in questo periodo di sospensione delle attività commerciali.
Ci si chiede allora se, accedendo ai principi generali civilistici, possa rinvenirsi in capo al commerciante-conduttore un diritto quantomeno alla ri-determinazione del contratto e/o del canone di locazione.
C’è chi, ragionevolmente, ha proposto di valorizzare il principio di buona fede nell’esecuzione del contratto (art. 1375 c.c.), espressione del più generale e costituzionale principio di solidarietà, in virtù del quale, in capo al locatore, si dovrebbe configurare un vero e proprio obbligo di rinegoziare l’ammontare dei canoni.
Non è in dubbio, infatti, che l’emergenza Covid-19, precludendo ai commercianti di usufruire dei locali affittati, abbia alterato in maniera significativa il sinallagma contrattuale, con la conseguenza che le parti – e in tal caso il locatore- dovrebbe adoperarsi e cooperare con il conduttore per ristabilire equamente l’assetto negoziale.
La prima giurisprudenza, sul punto, si è dimostrata sensibile alle istanze dei commercianti in difficoltà ed aperta a valorizzare il canone della buona fede quale criterio per delineare, con maggior precisione, la portata degli obblighi facenti capo a ciascuna delle parti.
Si segnala, in particolare, un provvedimento emesso in via cautelare dal Tribunale di Bologna. Nel caso sottoposto all’attenzione del giudice (12.05.2020), la conduttrice, con ricorso ex art. 700 c.p.c, chiedeva al Tribunale che venisse inibito l’incasso di assegni bancari, a suo tempo consegnati al locatore a garanzia del pagamento dei canoni locatizi.
In via preliminare, aveva avanzato al locatore una proposta transattiva, con la quale chiedeva la riduzione del canone da aprile a settembre 2020. Proposta che era stata rifiutata tout court.
È proprio tale circostanza, valorizzata dallo stesso Tribunale, che ha portato all’accoglimento del ricorso cautelare: il giudice ha pertanto ritenuto che, in virtù del principio generale di buona fede nella esecuzione del contratto, sussista in capo alle parti l’obbligo di avviare una negoziazione per una ridefinizione temporanea del canone, non solo per tutto il periodo di chiusura obbligata dell’attività commerciale, ma anche per il periodo immediatamente successivo, così da ricondurre il rapporto locatizio nell’alveo dell’equilibrio contrattuale, oggettivamente e significativamente alterato dalla pandemia.