Come cambia il processo penale con la Riforma Cartabia
La legge n. 134 del 27 settembre 2021 ha introdotto rilevanti novità nell’ambito del processo penale, introducendo quella che viene definita una “riforma gemella” del processo civile, il cui binomio comune rimane l’efficienza.
Lo scopo, infatti, della suddetta novella è quello di ridurre del 25% la durata dei procedimenti penali nei prossimi cinque anni, in ossequio al principio costituzionale della ragionevole durata del processo che il nostro Paese fatica duramente a garantire ai cittadini (l’Italia detiene, infatti, il triste primato per il numero di condanne per violazione all’art. 6 della Cedu proprio a causa delle durate eccessive dei processi).
Ovviamente deve tenersi conto della necessità di trovare un equilibrio tra la finalità di ridurre i tempi processuali, da un lato, e l’insopprimibile esigenza di continuare a offrire ai cittadini le garanzie fondamentali.
Vediamo ora, nel dettaglio, quali sono le principali novità apportate dalla Riforma Cartabia al processo penale.
Innanzitutto, la novella ha digitalizzato un processo penale che sino ad ora faceva fatica a tenere le fila del processo civile (la digitalizzazione del processo civile è avvenuta nel lontano 2015).
In tal senso, la riforma ha previsto parimenti l’ammodernamento della disciplina delle notificazioni, è previsto infatti - da un lato - l’obbligo per l’imputato non detenuto, fin dal primo contatto con l’autorità procedente, di indicare anche i recapiti telefonici e telematici di cui ha la disponibilità (si prevede altresì che lo stesso abbia la facoltà di dichiarare domicilio ai fini delle notificazioni anche presso un proprio idoneo recapito telematico) e - dall’altro - tutte le notifiche all’imputato non detenuto, successive alla prima, diverse da quella con cui è stato citato a giudizio, saranno di norma eseguite mediante consegna al difensore, anche attraverso posta elettronica certificata.
In secondo luogo, la riforma ha previsto nuove tecniche di verbalizzazione della prova orale, introducendo la registrazione audiovisiva come forma ulteriore e non necessaria di documentazione dell’interrogatorio reso fuori dall’udienza, della testimonianza e dell’esame delle parti.
Inoltre, analogamente a quanto già statuito per il processo civile, anche per il processo penale viene favorita la partecipazione a distanza agli atti e alle udienze.
Per quanto concerne la delicata fase dell’indagini preliminari - da sempre considerata il vero nodo nel ritardo della durata del procedimento penale - la Riforma Cartabia ha innalzato la durata del termine di durata delle indagini preliminari per i delitti da sei mesi a un anno, rimanendo invece invariata per le contravvenzioni, tuttavia diventano più stringenti le ipotesi di concessione di proroghe alle indagini stesse: è prevista una sola proroga, disposta dal g.i.p. su richiesta del p.m., per un tempo non superiore a sei mesi, quando sia giustificata dalla complessità delle indagini. Quanto ai termini massimi di durata delle indagini, quelli relativi ai procedimenti per le contravvenzioni vengono ridotti da diciotto mesi a un anno.
Ai fini di garantire l’efficienza del procedimento penale, la riforma introduce un meccainismo per rimediare all’eventuale stasi del procedimento che viene a crearsi quando il P.M. - scaduto il termine di durata delle indagini - non prende posizione se esercitare o meno l’azione penale, chiedendo in tale ultima ipotesi l’archiviazione. Con la riforma il G.I.P. può intervenire inducendo il P.M. a esercitare l’azione penale ovvero chiedere l’archiviazione del procedimento.
Il Gip può intervenire, altresì, nell’ipotesi in cui il reato è da attribuire ad una persona determinata ma il PM non ha ancora provveduto, ordinando la relativa iscrizione nel registro di cui all’art. 335 c.p.p.
Di notevole rilevanza è la modifica della regola alla base della quale il PM può procedere all’archiviazione. Nell’attuale sistema, infatti, il Pubblico Ministero può presentare una richiesta di archiviazione, ai sensi dell’art. 408 c.p.p., se ritiene che la notizia di reato sia infondata, in quanto gli elementi che ha acquisito durante le indagini preliminari non sono idonei a sostenere l’accusa in giudizio. Con la Riforma Cartabia, invece, è previsto che il Pubblico Ministero debba chiedere l’archiviazione del procedimento “quando gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non consentono una ragionevole previsione di condanna”. A ben vedere al PM è richiesto un difficile giudizio prognostico che estenderà inevitabilmente le ipotesi di archiviazione.
Quanto alla persona sottoposta a indagini, è prevista l’introduzione di un nuovo rimedio, ossia l’opposizione innanzi al Gip avverso il decreto di perquisizione cui non consegua un provvedimento di sequestro.
In riferimento, poi, all’udienza preliminare, questa fase non è stata abolita, tuttavia la riforma ha esteso notevolmente il catalogo dei procedimenti con citazione diretta dinanzi il Tribunale in composizione monocratica.
Sul punto si evidenzia che è stato dato il compito al legislatore delegato di individuare, tra i reati che stabiliscono la pena della reclusione non superiore nel massimo a sei anni, quelli ai quali estendere la citazione diretta a giudizio.
Tuttavia, la novità di maggior rilievo consiste nell’introduzione, anche nelle ipotesi di citazione diretta a giudizio, di un’udienza (c.d. predibattimentale) nel corso della quale il Tribunale in composizione monocratica, sulla base del fascicolo del PM e degli ulteriori atti eventualmente depositati dalla difesa, dovrà valutare se vi sia o meno una ragionevole previsione di condanna.
La Riforma Cartabia, attraverso la modifica della regola di giudizio per procedere all’archiviazione e attraverso l’introduzione dell’udienza predibattimentali ha creato, di fatto, un doppio filtro.
In ossequio all’obiettivo di favorire l’efficienza dei procedimenti penali viene incentivato il ricorso ai procedimenti speciali.
Per quanto concerne l’appello, la riforma mira a ridurre il novero delle sentenze appellabili, ad ampliare le ipotesi di inammissibilità dell’appello, a semplificare il procedimento e a ridurre le ipotesi di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.
Inoltre la riforma, nel rispetto del diritto all’oblio, prevede che il decreto di archiviazione e la sentenza di non luogo a procedere o di assoluzione costituiscano titolo per l’emissione di un provvedimento di deindicizzazione che, nel rispetto della normativa dell’U.E. in materia di dati personali, garantisca in modo effettivo il diritto all’oblio degli indagati o imputati.
Sempre in ottica deflattiva del procedimento, la novella mira a valorizzare l’istituto della non punibilità per speciale tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p.; l’unico limite all’applicabilità dell’istituto, in luogo della pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni prevista sino ad ora, diventa la pena detentiva non superiore nel minimo a due anni.
In ordine alla prescrizione, viene confermata la scelta di fondo, compiuta con la legge n. 3 del 2019 (c.d. legge Bonafede), di bloccare il corso della prescrizione del reato dopo la sentenza di primo grado, sia essa di condanna o di assoluzione, tuttavia vengono introdotti alcuni correttivi. Viene introdotto, innanzitutto, il nuovo art. 161 bis c.p. una disposizione di chiusura della disciplina della prescrizione del reato (“Cessazione del corso della prescrizione”), nella quale si chiarisce che “il corso della prescrizione del reato cessa definitivamente con la pronuncia della sentenza di primo grado”. Contestualmente viene abrogato l’art. 159, co. 2 c.p., che annovera la pronuncia della sentenza di primo grado tra le cause di sospensione del corso della prescrizione. Ne consegue che la novella individua nella sentenza di primo grado il dies ad quem della prescrizione del reato.
Alcune novità secondarie attengono all’obbligo di calendarizzare il processo, peraltro obbligo non sanzionato processualmente. Ne consegue che il processo dovrà essere celebrato in un’unica udienza e, nell’ipotesi in cui non si riuscisse a concluderlo in tale sede, il giudice dovrà predisporre un calendario per l’istruttoria dibattimentale e la discussione.
Infine, la legge delega prevede che il principio cardine in materia di richiesta di prove non sarà più quello dell’indicazione dei fatti da provare ma sarà quello dell’illustrazione della richiesta delle prove entro i limiti dell’ammissibilità; viene introdotto, altresì, il contraddittorio informato per la prova scientifica: sarò necessario depositare in tempo utile e congruo la relazione di consulenza per consentire al giudice e alle parti di leggerla prima dell’escussione del consulente.